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Le copertine - Storia

“Molta della considerazione che hanno ottenuto negli anni le copertine” disse il giornalista Rick Sanders nel 1974 “è dovuta al lavoro della Hipgnosis, nome molto legato ai Pink Floyd, avendo la compagnia curato parecchie delle copertine del gruppo”. (Sanders, 1974 cit.) L’Hipgnosis, creata da Storm Thorgerson, Aubrey Powell e, dal 1974, Peter Christopherson, era nata nel 1968. “... Decidemmo di chiamarci Hipgnosis” ha scritto Thorgerson “dopo aver notato la parola che alcuni ingegnosi ‘sballati’ avevano inciso sulla porta del nostro appartamento. La scegliemmo perché suonava come ‘ipnosi’, e pensavamo che se fossimo riusciti a disegnare immagini ‘ipnotiche’ sarebbe stata una grande cosa. Inoltre, il vocabolo possedeva un piacevole doppio senso, contraddittorio, essendo composto da Hip, cioè nuovo e alla moda, e da Gnostic, che ha a che fare con l’antica conoscenza. Il vecchio e il nuovo coabitavano in una parola che implicava fascino e intrigo”. (S. Thorgerson in The Work of Hipgnosis. Walk Away René, 1978)

Studenti della London School Of Film Technique, Thorgerson, e del Royal College Of Art, Powell, i due si erano trovati coinvolti nel campo della grafica delle copertine rock principalmente grazie alla loro amicizia con i Pink Floyd. “Eravamo amici di alcuni dei Pink Floyd sin dal tempo della scuola, e loro stavano per avere un cambiamento importante all’interno della line-up. Il loro fondatore Syd Barrett, la mente creativa della band, era arrivato al punto di suonare sul palco un pezzo diverso da quello che stavano suonando gli altri. Il suo comportamento veniva per questo giudicato ‘imprevedibile’, e i suoi amici stavano meditando di andarsene o, per lo meno, di mandar via lui. Venimmo coinvolti proprio nel bel mezzo di questa delicata situazione e, in qualche modo, cercammo di fungere da intermediari. I Floyd ci chiesero se qualcuno di noi fosse disposto a curare la copertina di un loro disco. Prendemmo al volo l’occasione e cominciammo A SAUCERFUL OF SECRETS”. (S. Thorgerson, 1978 cit.)

Il 1968 fu un anno molto importante per la grafica rock, una vera e propria rivoluzione artistica. Fino allora, generalmente, erano state le case discografiche a occuparsi direttamente delle copertine e soltanto ai Beatles, nel 1966, era riuscito di imporre ai responsabili della EMI un loro amico grafico, Klaus Voorman, per la copertina di REVOLVER. Dopo la pubblicazione di THE PIPER AT THE GATES OF DAWN, in perfetto stile flower power del 1967 (la copertina è una serie di scatti sovrapposti dei quattro Floyd in abiti di “Granny Takes A Trip”; era stata realizzata da Vic Sigh, un amico del produttore Norman Smith), i “nuovi” Pink Floyd sentivano il bisogno di qualcosa di diverso. Qualcosa che, svincolandoli dallo stereotipo di “gruppo psichedelico”, proponesse un’immagine più misteriosa e intrigante. “Fummo presentati al manager dei Floyd, Bryan Morrison, e alla casa discografica ed entrambi ci commissionarono diversi lavori.

La copertina di SAUCERFUL OF SECRETS si rivelò piuttosto complessa avendo richiesto ben tredici diverse sovrapposizioni a colori”. (Thorgerson, 1978 cit.) Nel loro piccolo appartamento di South Kensington, Thorgerson e Powell si misero a lavorare di gran lena, ritagliando, incollando, fotografando: ne uscì una sorta di collage di tredici immagini sovrapposte. Alcuni fumetti della Marvel Comics (Dr. Strange, Universal Tribune...), una vecchia fotografia di un alchimista, immagini di ampolline e bottigliette, una ruota zodiacale, il sole, alcuni pianeti, una piccola foto del gruppo sulle rive di un fiume fuori Londra. “... Il fatto è che le cose nascevano dal cuore” ha detto Storm durante un’intervista nel 1986 “perché non eravamo realmente coinvolti nel business dell’industria discografica. Eravamo semplicemente amici che lavoravamo per amici... La casa discografica, in pratica, ci lasciava fare perché non capiva granché della musica dei Pink Floyd e non poteva imporre delle scelte alla band che si fidava di me. Per questo motivo, alla fine dei conti la EMI mi aiutò molto dato che, anche se non capiva il nostro lavoro, il suo scopo era quello di vendere... E le copertine funzionavano...” (S. Thorgerson, Londra 1986)

Per la cover del successivo MORE (1969), venne utilizzato semplicemente un fotogramma del film di Barbet Schroeder che, dopo essere stato esposto, fu ricolorato a tinte forti.

UMMAGUMMA... è un gioco visuale sull’impossibile. Le foto dell’intera scena sono state stampate progressivamente più piccole e montate sul posto. Le posizioni dei membri del gruppo cambiarono a rotazione per divertimento. Eravamo anche interessati a proporre un raffronto tra una prospettiva mentale (l’immagine sulla parete) e una fisica (quella della gente in giardino).” (Thorgerson, 1978 cit.) Mentre le foto per il front cover erano state scattate da Powell e Thorgerson nel giardino della casa di un amico di Cambridge, quella del retro, che ritraeva due roadies del gruppo immersi nella strumentazione in uso durante il 1969, era stata opera del solo “Po”. Benché Thorgerson abbia sostenuto che nel lavoro dell’Hipgnosis per i Pink Floyd ci sia sempre stata una correlazione tra l’immagine di copertina e la musica, è difficile in alcuni casi condividere questa asserzione.

Il significato del front cover di ATOM HEART MOTHER, per esempio, ha stimolato addirittura due differenti, opposte, spiegazioni. Ha detto Mason: “... Le mucche non significano niente, sono soltanto un pretesto. Tutti stanno cercando di realizzare copertine complicate, alla moda. Noi volevamo soltanto qualcosa di semplice” (N. Mason in Pink Floyd di R. Sanders, 1974) Storm, invece, ha chiarito così l’apparente concettualità della scelta del soggetto: “La relazione tra la musica e la copertina è che la prima è indubbiamente avanguardistica, assolutamente non pop. La copertina fu uno scherzo, in sostanza, e una provocazione. Era una non-cover, in un certo senso, perché nei negozi a quell’epoca, era il 1970, non ce n’erano altre fatte così. Per questo funzionò, e funziona ancora oggi, propri per il fatto di essere completamente diversa, proprio come la musica del disco”. (S. Thorgerson, Londra 1986) L’idea delle mucche al pascolo era venuta a John Blake: “Scattai le foto da solo, sulla costa del sud. Appena vidi le vacche nel campo presi la macchina fotografica, una Mamimya a lenti normali, e scattai. Il fattore mi disse che avevano un bell’aspetto perché erano state appena munte”. (1986, cit)

Il successivo RELICS, (1971), un’antologia dei primi singles del gruppo edita a prezzo economico, si avvalse del design esclusivo di Nick Mason perché la EMI non era disposta a pagare più di 25 sterline, mentre l’Hipgnosis ne richiedeva almeno 150.

Powell e Thorgerson si erano frattanto trasferiti da South Kensington a Denmark Street, nella zona di Soho, e nel 1972, dopo aver lavorato anche a poster, tour programme e comunicati del gruppo (e di gran parte degli artisti inglesi in circolazione in quegli anni) gli venne commissionata la copertina di MEDDLE. Per quest’album l’Hipgnosis si limitò a decidere soltanto la fotografia interna della cover (l’ultima che ritrarrà i quattro Pink Floyd!), dato che era stata la band ad avere l’idea di correlare in un concept fotografico l’immagine alla musica. Si optò per l’utilizzo della foto ingrandita di un orecchio (che a giudicare dalle proporzioni non si direbbe umano...) che sembrasse intento a captare le onde sonore provocate dalla caduta di un sasso nell’acqua (Echoes...?).

Quanto al successivo OBSCURED BY CLOUDS, Thorgerson e Powell convinsero il gruppo a far pubblicare una foto ottenuta con alcuni giochetti di luce sovrapposti all’immagine di un uomo in blue-jeans che si tuffava nel vuoto.

DARK SIDE OF THE MOON è il risultato di una delle sette o otto proposte che sottoponemmo ai Pink FLoyd” ha scritto nel 1978. “E’ in relazione ai concerti che erano soliti fare e al loro uso del light show. Nei dettagli, l’idea venne a Rick Wright che voleva qualcosa di molto semplice, clinico e preciso. Non è un design particolarmente originale quello che utilizzammo, ma credo sia molto appropriato e di grande effetto. L’artwork è principalmente meccanico, lo spettro di luce venne disegnato in nero e i colori sono solo indicati. L’estensione dei raggi colorati anche nella copertina interna era stata disegnata per fare in modo che si potessero collegare con quelli della cover esterna. Quando le copertine sono aperte e messe una vicina all’altra formano infatti un unico disegno”. (S. Thorgerson, 1978 cit.) La semplice idea del prisma di luce li spinse a programmare un viaggio in Egitto per scattare alcune foto alle piramidi”. (R. Sanders, 1974 cit.) Due foto selezionate, trattate in studio a tinte blu e rosa molto vivaci, diventeranno il soggetto dei poster inclusi nella cover, assieme a due adesivi a colori, riproducenti il logo delle piramidi.

La copertina di A NICE PAIR, il doppio economico comprendente i due primi dischi della band edito alla fine di quello stesso anno (1973) comportò alla sua uscita alcune noie legali: le primissime copie in circolazione (che da allora, inutile dirlo, sono diventate oggetto della ricerca sfrenata dei fans) hanno in alto a destra la foto della vetrina di un negozio con la dicitura “W.R. Phang, Dental Surgeon”, che Storm aveva “catturato” con la sua macchina fotografica a Kingston-upon-Thames. Il signor Phang citò in giudizio la EMI e vinse la causa (pare non avesse gradito questo genere di pubblicità gratuita!), costringendo così l’Hipgnosis a rieditare l’album con la nuova fotografia. Quanto all’idea di utilizzare una suggestiva raccolta di foto d’archivio, scatti bizzarri, disegni paradossali e ridicoli, Thorgerson ha scritto: “I Pink Floyd hanno un buon senso dell’umorismo, cosicché molte delle idee che venivano fuori erano semplicemente una sorta di scherzi, giochi di parole e aforismi, come ‘morso all’aria’, ‘ridendo come matti in una banca ’, ‘forchetta in strada’ e ‘rana in gola’. C’erano altre foto che ci piacevano, come ad esempio il foyer del cinema (uno dei nostri luoghi preferiti), e altre un po’ contorte, tipo quella del paranoico spioncino sulla porta di una famiglia di nome ‘Paura’... Quella con il freak ‘stonato’ con il suo caftano e gli occhialini psichedelici è invece un riferimento ai trascorsi psichedelici dei Floyd”. (S. Thorgerson, 1978 cit.)

WISH YOU WERE HERE, nel 1975, si rivelò un lavoro ben più difficile, dovendo nuovamente correlarsi ai complessi riferimenti della musica e soprattutto dei testi. Disse Richard Wright: “Ne parlammo per ore. Fu proprio un’esperienza strana realizzare quella copertina. L’idea base era quella di ‘non essere da nessuna parte’. Tutte le foto incluse cercano di suggerire questo concetto; si tratta di situazioni surreali, irreali, come quella dell’uomo che brucia, o dell’uomo senza piedi nella sabbia... WISH YOU WERE HERE, ‘vorremmo che fossi/ foste qui’, è una specie di gioco di parole sul fatto di ‘non desiderare che sia / siate qui’, perché mentre stavamo registrando il disco ci rendemmo conto a un certo punto di non essere veramente ‘lì’ a lavorare. Non ci stavamo minimamente concentrando...” (R. Wright a Michael Wale in “The Pringles Show”, dicembre 1978) Il disco uscì confezionato in una busta di plastica completamente nera su cui un adesivo a colori disegnato da George Hardie segnalava al pubblico il nome del gruppo e il titolo del lavoro. “... L’idea base è che la busta di plastica nera è una copertina per i negozi, mentre quella vera e propria è per il pubblico” ha sostenuto Storm. “Infatti la cosa presuppone un approccio psicologico differente; vederla a qualche metro di distanza in un negozio di dischi non è lo stesso che poter stringere l’album fra le mani e osservarlo attentamente riflettendo sui suoi significati”. "La busta di cellophane nero prevista per la copertina si rivelò difficilissima da produrre e costò un sacco di soldi. Inoltre, la casa discografica americana non riusciva proprio a capire per quale motivo avessimo deciso di coprire un ‘così grande’ lavoro grafico. In Inghilterra, i negozianti la detestarono perché avrebbero voluto mostrare la copertina, ma quando tolsero la busta si accorsero di non poterla rimettere, e fu ancora più frustrante per loro scoprire che la copertina di cartone non aveva titoli. Uno dei momenti più belli dell’esperienza fu quando, avendo proposto ai Floyd soltanto un abbozzo vago dell’idea poi realizzata, la accettarono entusiasti e la approvarono calorosamente”. (S. Thorgerson, 1978 cit.)

Se la lavorazione di WISH YOU WERE HERE comportò un duro approfondimento concettuale, quella del successivo ANIMALS (1976) impegnò l’Hipgnosis su un piano principalmente tecnico, dopo la decisione di Waters di visualizzare il concept dell’album con alcune fotografie in bianco e nero della Battersea Power Station. Poiché alla band piacque il colore e la luce del cielo ritratto durante il primo giorno di session (quello dell’imprevista mancata esibizione del maiale volante) e la posizione del maiale ripreso invece il terzo giorno, quando il cielo era risultato “spento” (Storm, 1978), “cosa avremmo potuto fare se non creare un fotomontaggio incollando il maiale sulla foto del primo giorno e poi ritoccare il tutto? ”.

Per la cover di THE WALL, i Pink Floyd decisero di affidarsi al disegnatore/vignettista Gerald Scarfe che avrebbe animato con i suoi efficaci cartoons non solo tutte le performances dal vivo del gruppo ma anche parte delle scene del film di Alan Parker. Scarfe aveva cominciato a lavorare come vignettista e caricaturista agli inizi degli anni ‘60 per riviste minori (Punch, Private Eye, Maily Dail...) prima di affermarsi con la satira politica sul Sunday Time nel 1967. Agli inizi degli anni ‘70 era stato assunto dal Time con l’incarico di disegnare le copertine e nel 1974 aveva conosciuto i Pink Floyd lavorando con loro negli allestimenti del tour di THE DARK SIDE OF MOON (sue erano le grandi figure gonfiabili usate a quel tempo nei concerti). A proposito del suo lavoro per THE WALL, ha detto: “Quando disegni la crudeltà, speri che la gente si rivolti contro di essa. Per mostrare in un film che qualcosa è sbagliato devi presentare le cose nel modo più onesto possibile. Ma ci sono persone a cui purtroppo piacciono violenza e crudeltà, e così si finisce per soddisfare i loro gusti perversi. Non so onestamente quanto si riesca a far capire a quel genere di persone che è sbagliato”. (G. Scarfe a Janet Watts in The Observer dell’agosto 1982)

A COLLECTION OF GREAT DANCE SONGS, antologia del 1981, vide il ritorno dell’Hipgnosis sotto la sigla PVC. Thorgerson ha raccontato anche la genesi di questa copertina: “Il luogo in cui vennero scattate le foto è uno dei nostri preferiti e si trova in Inghilterra. A Dungeness, sulla costa del sud, ci sono i resti di una cittadina deserta fatta di capanne di legno dei pescatori e ripari per barche in disuso. Prima di recarci là, facemmo alcune prove in un parco di Londra, scelta che si rivelò cruciale dato che avevamo pensato di utilizzare normali corde bianche nel momento in cui i due ballerini assumevano determinate pose. Solo allora Peter Jessup, il ballerino, suggerì di usare corde elastiche. Appena si misero nella posa del tango le corde si tesero”. “Nick Mason mi aveva detto che la Capitol avrebbe visto di buon occhio la pubblicazione di materiale ‘da ballo’ dei Pink Floyd. Si trattava di un altro mattone del muro della disco. C’è qualcun altro d’accordo con quell’idea? Io ne dubito, e per questo motivo pensammo di introdurre un tocco di sarcasmo nel lavoro e facemmo uscire il disco come fosse veramente una raccolta di canzoni ‘da ballo’. I Pink FLoyd accettarono questo titolo, più che altro per la sua irrilevanza. Quale significato aveva avuto d’altronde la mucca in ATOM HEART MOTHER?”. Il sarcasmo cui alludeva Thorgerson avrebbe dovuto polemizzare con il governo inglese a proposito della vicenda delle Falkland. Il riferimento al popolo argentino attraverso la citazione ‘visiva’ del tango è esplicita: una coppia di ballerini argentini bloccati dalle corde dell’arroganza politico-militare inglese nell’atto di ballare un tango (il ballo argentino per antonomasia). “Bisogna essere in due per ballare un tango. Bisogna essere in due per combattere” ha spiegato il grafico.

Se THE FINAL CUT si è avvalso del semplice ma efficace lavoro di Artful Dodgers e del fotografo Willie Christie (oltre che dei disegni dello stesso Waters), A MOMENTARY LAPSE OF REASON e il doppio live DELICATE SOUND OF THUNDER hanno visto la rentrée in grande stile di Storm Thorgerson, dopo qualche anno di latitanza dal mondo rock. “Ero stufo di dover continuare a fare copertine di dischi” ha detto nel 1986 “e mi sono dedicato alla mia passione originaria, quella di fare film”: dopo l’esperienza Hipgnosis, infatti, esauritasi alla fine degli anni ‘70, con Powell e Christopherson ha fondato la Green Back Film Ltd., una compagnia che si occupa, oltre che di promozioni televisive, anche di video clips e cortometraggi musicali. E’ di Thorgerson infatti la regia dei brevi commenti visivi di Sign Of Life e Dogs Of War utilizzati dai Pink Floyd durante il tour del 1987-1989.
  

 

Luigi Fedele   -  (http://www.bumshiva.com)

 

 

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